Donne migranti e violenza di genere. L'essenziale ruolo delle mediatrici culturali per tornare libere

Fonte foto sito UNHCR @Valerio Muscella
A sostegno delle donne migranti richiedenti asilo e rifugiate vittime di violenza, D.i.Re - Donne in Rete contro la violenza e UNHCR presentano, nell'ambito del progetto Leaving violence. Living safe, un nuovo importante strumento d'aiuto: la prima lista di mediatrici culturali formate specificamente per agire a supporto delle donne richiedenti asilo e rifugiate sopravvissute a esperienze di violenza e abuso.
Tra di loro, moltissime hanno alle spalle esperienze multiple di violenza: rapite, vendute, torturate, tenute segregate senza luce né cibo per mesi, stuprate, costrette a prostituirsi o ridotte in schiavitù, prima di riuscire a trovare il denaro sufficiente per proseguire il viaggio. Sono donne e ragazze che spesso continuano a subire violenza anche in Italia e che faticano a riconoscere il proprio diritto a vivere una vita libera.
Le mediatrici culturali sono figure chiave per le donne migranti nei percorsi di fuoriuscita dalla violenza
Per questo il progetto Leaving violence. Living safe mette a disposizione di tutte le strutture – pubbliche o private – che accolgono donne migranti richiedenti asilo e rifugiate un elenco di professioniste specificamente formate sulla violenza di genere, con l’obiettivo di supportare l’emersione delle esperienze vissute e facilitare l’accesso ai centri antiviolenza.
Le figure di mediazione (disponibili in molte lingue tra cui curdo, inglese pidgin, bangla, arabo, russo, spagnolo, francese) potranno essere contattate tramite i centri antiviolenza D.i.Re di riferimento da enti e organizzazioni del territorio.
Come funziona nello specifico il supporto alle donne richiedenti asilo e rifugiate con il coinvolgimento delle mediatrici culturali? D.i.Re ce lo spiega attraverso un video ideato da Koinoé Comunicazione, che entra in uno dei centri antiviolenza della rete – la Casa di accoglienza delle donne maltrattate di Milano – per illustrarne chiaramente il meccanismo.
Sono 395 le donne migranti supportate dai centri antiviolenza D.i.Re da quando il progetto “Leaving violence. Living safe” ha preso avvio nel 2018
Grazie al progetto è stata rivista la metodologia di accoglienza, adattandola alle specifiche necessità di tale utenza, e sono state formate decine di mediatrici culturali e di operatrici dei centri antiviolenza.
“Gli sbarchi continuano ininterrotti, centinaia di donne sono accampate, spesso con i loro figli e figlie, ai confini dell’Europa, migliaia sono le donne rifugiate nel nostro paese: la maggior parte di loro ha subito violenza o può essere a rischio di subirla. Di loro non sentiamo parlare mai, né loro, in moltissimi casi, hanno sentito parlare dei centri antiviolenza”, denuncia Antonella Veltri, presidente di D.i.Re.
“La possibilità di contare su mediatrici culturali adeguatamente formate è fondamentale per avvicinarsi a loro, sostenerle e individuare non solo l’assistenza di cui hanno bisogno ma aiutarle a costruirsi un nuovo progetto di vita”, dichiara Chiara Cardoletti, Rappresentante UNHCR per l’Italia, la Santa Sede e San Marino.

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Con questa iniziativa i centri antiviolenza D.i.Re si attivano concretamente per andare incontro alle donne migranti, interagendo con gli enti del territorio che si occupano di accoglienza e integrazione.
“Oggi ascolto altre donne che raccontano la propria storia: non è solo la storia della violenza che hanno subito, ma anche la storia del coraggio e della forza che hanno avuto per affrontare il viaggio dai loro paesi fin qui, dei loro progetti, dei loro sogni per il futuro”, sottolinea Alan Amini, rifugiata e ora mediatrice culturale al GOAP, Gruppo operatrici antiviolenza e progetti di Trieste, formata nell’ambito del progetto. “Fare la mediatrice culturale in un centro antiviolenza significa tenere insieme tutti questi aspetti, perché possano riprendere la loro vita in autonomia”.
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