Rifò e la moda circolare: l’eleganza possibile della rigenerazione

Rifò e la moda circolare: l’eleganza possibile della rigenerazione. Intervista a Niccolò Cipriani

Nel panorama contemporaneo della moda sostenibile, Rifò rappresenta una delle esperienze italiane più significative nel campo della circolarità tessile. Il progetto, guidato da Niccolò Cipriani, nasce a Prato nel 2017 per dare una risposta al problema della sovrapproduzione nell'industria dell'abbigliamento, partendo dall'idea di valorizzare un sapere manifatturiero che proprio il territorio pratese custodisce da secoli: quello della rigenerazione tessile. L’azienda, che oggi conta un team di oltre 25 persone, si occupa di raccogliere scarti industriali, residui pre-consumer e indumenti post-consumer, selezionandoli e trasformandoli in nuovo filato, ed infine in capi d’abbigliamento, in un processo che rinnova la tradizione e le conferisce una vocazione contemporanea.

 

Una cultura dello scarto che diventa risorsa

La visione che ha dato origine al brand non nasce esclusivamente da una spinta ecologista, ma dall’esperienza diretta di Cipriani all’interno di programmi di cooperazione internazionale. Osservare da vicino i processi produttivi dell’industria tessile globale ha reso evidente la quantità di scarto generato e il paradosso del sovraconsumo: armadi pieni e acquisti sempre più frequenti. Da questa consapevolezza si è sviluppata una ricerca continua su biodegradabilità, coloranti, processi chimici e, soprattutto, sulle implicazioni etiche del settore.

È facile ignorare i processi che si celano dietro la produzione di un capo d'abbigliamento, la complessità di una filiera che comprende numerose fasi di lavorazione. La moda circolare richiede un profondo lavoro culturale. Per questo l’azienda affianca ai propri canali digitali un’intensa attività educativa, soprattutto rivolta alle scuole. I Textile Tours permettono agli studenti di osservare da vicino le fasi produttive, comprendere l’impatto dei prezzi irrealistici del fast fashion e riconoscere i costi nascosti di un sistema insostenibile.

L’obiettivo è ricostruire una consapevolezza che apparteneva alle generazioni passate, capaci di scegliere pochi capi duraturi, in un equilibrio tra cura, rispetto dei materiali e capacità di valutare il reale valore di ciò che si indossa.

 

Il nodo del prezzo

Se da un lato esiste un pubblico sempre più attento e consapevole, dall’altro è evidente la distanza che separa questa sensibilità da pratiche d’acquisto dominate dalla ricerca del prezzo più basso. Non è facile superare l’inerzia del fast fashion, e non si tratta soltanto di disponibilità economica: la moda attiva dinamiche emotive, e il ritmo degli acquisti spesso risponde più a impulsi di gratificazione che a logiche di valore.

A ciò si affianca un tema identitario: la moda è linguaggio, racconto di sé. La sfida è rendere la sostenibilità non un’estetica marginale, ma un’espressione elegante e contemporanea, capace di competere con le tendenze dominanti senza snaturare il valore della filiera rigenerativa. Se è vero che non tutti gli stili sono replicabili in modo sostenibile, esiste comunque un margine crescente per una bellezza etica, che concilia design e responsabilità. La componente estetica è ormai centrale, in equilibrio con gli aspetti ambientali, perché un capo può essere sostenibile se prima di tutto risulta desiderabile e ben progettato.

 

Guardando avanti

In un settore che per decenni ha costruito il proprio successo sulla velocità e sull’abbondanza, la storia di Rifò dimostra che esiste un’altra via, più lenta ma più lucida, capace di generare valore senza consumare quello delle generazioni future. La rigenerazione non è soltanto un processo tecnico, ma un gesto culturale: raccoglie ciò che la società abbandona, lo ricolloca in un ciclo virtuoso e restituisce dignità al lavoro, ai materiali e alle competenze.

Unire crescita industriale e responsabilità sociale significa riconoscere che l’innovazione non può prescindere da un rapporto etico con ciò che produciamo e da una relazione trasparente con chi lo rende possibile. Significa credere che un capo d’abbigliamento possa raccontare una filiera giusta, un equilibrio tra creatività, tecnologia e rispetto.

Se il tessile del futuro sarà davvero rigenerativo, non lo sarà soltanto perché avrà imparato a chiudere il cerchio delle fibre, ma perché avrà rimesso al centro la consapevolezza: quella di chi produce, di chi progetta e di chi sceglie cosa indossare ogni giorno. In questa convergenza – fragile ma potente – potrebbe nascere un nuovo patto tra industria, cultura e territorio. Ed è lì, nel punto in cui la tradizione incontra la responsabilità, che la moda può tornare a essere non soltanto un segno esteriore, ma un atto di cura nei confronti del mondo che abitiamo.

 

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Chi è Niccolò Cipriani? Founder e CEO di Rifò. Originario di Prato, scopre durante un’esperienza con le Nazioni Unite in Vietnam l’impatto della sovrapproduzione dell’industria della moda. Al suo rientro in Italia, decide di valorizzare la tradizione di rigenerazione tessile del suo territorio fondando Rifò, marchio di moda circolare che trasforma scarti e indumenti usati in nuovi capi. Il progetto è certificato B Corp per il suo impatto sociale e ambientale. Cipriani è oggi una delle voci più autorevoli in Italia sulla moda rigenerativa e sul futuro di un settore più etico e consapevole.

 

Articolo a cura di Innovazione Sociale
Videointervista a cura di Antonella Tagliabue, UN-GURU

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