L'università come laboratorio di futuro, radicato nella realtà. Intervista a Luigi Di Pace

L'università come laboratorio di futuro, radicato nella realtà. Intervista a Luigi Di Pace

Nelle discussioni pubbliche sulla trasformazione sociale, l’università viene spesso evocata come un luogo astratto, un laboratorio di idee sospeso in alto, lontano dalla concretezza del quotidiano. È un’immagine profondamente inadeguata. Ci sono atenei che lavorano ogni giorno per dimostrare il contrario: che la conoscenza, quando esce dai confini istituzionali e accetta di misurarsi con fragilità, conflitti, bisogni reali, può diventare un motore di cambiamento vero.

L’Università degli Studi di Milano-Bicocca ha fatto di questo processo una parte integrante della propria identità. Non come slogan, ma come pratica. Nei corridoi che collegano la ricerca al territorio si muove un ecosistema fatto di progetti, alleanze, reti e strumenti, che compongono quella dimensione che in ambito accademico viene chiamata Terza Missione e che, negli ultimi anni, ha assunto nuove forme e responsabilità. Qui si parla di un investimento collettivo sulla conoscenza, ed è una prospettiva che sposta lo sguardo. Mentre nel dibattito pubblico il concetto di “innovazione sociale” continua spesso a evocare narrazioni dirompenti, futuristiche, nel lavoro quotidiano dell’ateneo emerge un’idea più concreta e potente: l’innovazione sociale non coincide con la novità in sé, ma con la capacità di generare valore. Un valore che non può essere consegnato dall’alto, confezionato e recapitato alle comunità come un prodotto finito, ma che deve nascere insieme, attraverso processi partecipativi in cui cittadini, istituzioni e università riconoscono reciprocamente i propri ruoli.

È un terreno complesso, in cui si intrecciano competenze scientifiche, responsabilità educative e relazioni di fiducia. Ed è proprio in questo intreccio che Milano-Bicocca ha scelto di collocare molte delle iniziative degli ultimi anni: dal crowdfunding civico di BiUniCrowd, che trasforma idee accademiche in progetti sostenuti dal basso, a percorsi strutturati di public engagement come Innovation Pub; dai programmi di citizen science nelle scuole del progetto MEET, alle azioni territoriali del Distretto Bicocca, che coinvolgono imprese, istituzioni e amministrazioni locali nel ripensamento dei servizi e degli spazi del Municipio 9 di Milano. In questi contesti l’università non entra come un consulente esterno, ma come parte della comunità che la circonda.

L’impatto, tuttavia, non si improvvisa. Va misurato. E qui entra in gioco una cultura della valutazione che, nel sistema italiano, ha conosciuto fasi controverse, soprattutto quando sembrava ridursi a un elenco di indicatori quantitativi. Oggi il quadro è più articolato: l’attenzione si è spostata sulla costruzione di casi di studio, capaci di raccontare non solo risultati numerici, ma trasformazioni culturali, benefici per i cittadini, cambiamenti organizzativi, spinoff inattesi. L’università stessa è chiamata a mostrarsi responsabile: non solo nel produrre conoscenza, ma nel renderne trasparente la rilevanza pubblica.

È un cambio culturale importante, che chiede tempo. E il tempo, nell’accademia contemporanea, è una risorsa sempre più preziosa. Se da un lato la ricerca continua ad avere bisogno di lungimiranza, cautela, approfondimento, dall’altro le logiche dei bandi competitivi, la pressione alla pubblicazione e l’urgenza della comunicazione pubblica spingono verso un'accelerazione costante. Trovare un equilibrio tra queste forze opposte è uno dei compiti più delicati per chi lavora all’intersezione tra ricerca e società: garantire che la tempestività non corroda la qualità e che la velocità non comprometta l’autorevolezza, che resta un pilastro imprescindibile quando si affrontano questioni complesse.

Tra le sfide più rilevanti c’è l’evoluzione degli stakeholder dell’università. La Terza Missione ha allargato in modo definitivo la mappa dei soggetti coinvolti: associazioni del Terzo Settore, fondazioni di comunità, amministrazioni locali, imprese, gruppi informali, cittadini stessi. Molti di questi attori oggi entrano fisicamente in università, partecipano a progetti, condividono dati, co-progettano soluzioni, prendono parte a forme nuove di citizen science. E accade anche il contrario: l’università esce, si muove nel quartiere, ascolta bisogni, costruisce risposte.

Gli esempi non mancano: interventi sulla povertà educativa, programmi di alfabetizzazione digitale per gli anziani, azioni di formazione sulla sostenibilità ambientale, progetti di rigenerazione territoriale e operazioni di supporto psicologico e sanitario sviluppate nei momenti più tesi della pandemia. Iniziative in grado di unire studenti, cittadini e aziende in progetti capaci di generare benefici sociali e, al tempo stesso, dati di ricerca utili a sviluppi futuri. Sono casi che mostrano la cifra distintiva dell’impatto: il valore aggiunto che si distribuisce su più livelli, dal singolo cittadino alla comunità territoriale, fino all’ateneo stesso.

Tutto ciò ha un filo conduttore: la convinzione che l’università debba essere un patrimonio condiviso, non un avamposto isolato. Una presenza attiva nelle dinamiche sociali, capace di far dialogare rigore scientifico e responsabilità civica. È un lavoro che richiede coraggio, perché implica di esporsi, di cambiare, di sperimentare. Ma è anche un lavoro che lascia tracce nella qualità delle politiche pubbliche, nella formazione delle competenze, nella costruzione di cittadinanza.

Se l’innovazione sociale non si può fare da soli, è perché nasce dall’incontro tra saperi diversi. E l’università, quando accetta fino in fondo il proprio ruolo pubblico, può diventare uno dei luoghi in cui questo incontro prende forma. Un laboratorio di futuro, radicato nella realtà. Un’istituzione che non aspetta di essere interpellata, ma sceglie di esserci.

 

Ascolta il podcast o guarda il video qui sotto

 

 

Chi è Luigi Di Pace? Si occupa di impatto sociale e public engagement all'Università di Milano-Bicocca, dove ha sviluppato il programma di crowdfunding BiUniCrowd. Per dieci anni è stato capo ufficio stampa nello stesso Ateneo.

 

Articolo a cura di Innovazione Sociale
Videointervista a cura di Antonella Tagliabue, UN-GURU

Dicono di noi...