L’ambientalismo come infrastruttura del futuro. Intervista a Giorgio Zampetti

L’ambientalismo come infrastruttura del futuro. Intervista a Giorgio Zampetti

Mai come oggi l’ambiente si trova in una posizione paradossale: cruciale nei fatti, ma marginale nelle scelte. La transizione ecologica sembra aver perso slancio nell’agenda politica nazionale e internazionale. Eppure, l’ambiente non è un capitolo a parte, né un tema accessorio: è un asse trasversale che tocca le nostre economie, la sicurezza globale, il tessuto sociale, la qualità della democrazia.

Ne abbiamo parlato con Giorgio Zampetti, Direttore Generale di Legambiente , per cercare di comprendere come affrontare l'emergenza ambientale non solo in termini di sfida tecnica o politica, ma soprattutto come questione culturale e generazionale.

Secondo Zampetti, oggi il tema soffre un vero e proprio arretramento, determinato non solo dalla distrazione delle agende politiche, ma anche da una più generale difficoltà culturale ad affrontare problemi complessi in un contesto dominato dall’emergenza. In situazioni di crisi, l’ambiente viene percepito come un vincolo, non come parte della soluzione. È un errore di visione che rischia di rendere ancora più fragile il nostro futuro.

A questa miopia strategica si somma un'incapacità sistemica più profonda: quella di pensare a lungo termine. Viviamo in un ecosistema informativo fondato sulla brevità, sullo scroll compulsivo, su messaggi istantanei che mal si prestano alla complessità della questione ecologica. «Un problema come la crisi climatica – sottolinea Zampetti – ha bisogno di una narrazione che non si accontenti degli slogan. Le soluzioni esistono, non vanno inventate da zero. Le rinnovabili, per esempio, sono mature, sicure, economicamente competitive. Le tecnologie ci sono già, ma manca il coraggio politico e culturale di scommettere su ciò che è noto, preferendo l’effetto annuncio a scelte strutturali». E aggiunge: «Il rischio è affidarsi a soluzioni lente, incerte, o peggio ancora a scelte che alimentano ulteriormente il problema».

 

Dallo scioglimento dei ghiacciai al bosco aggredito: la crisi è già qui

Il nostro immaginario ambientale è ancora spesso colonizzato da scene distanti: ghiacciai che si sciolgono, orsi alla deriva su zattere di ghiaccio, disastri lontani che ci sembrano appartenere ad altri mondi. Ma il cambiamento climatico è già qui, tra noi. Basta osservare il territorio italiano per rendersi conto di quanto la crisi sia presente e tangibile. Zampetti cita casi concreti e drammatici: la Valnontey in Val d’Aosta, trasformata da eventi estremi legati al rapido scioglimento dei ghiacciai; il lago di Pergusa, in Sicilia, prosciugato al punto da poterlo attraversare a piedi; le campagne pugliesi, in crisi per la mancanza cronica d’acqua e l’assenza di politiche di gestione idrica efficaci. A questi si aggiungono fenomeni meno visibili, ma altrettanto devastanti, come la diffusione della Xylella o del Bostrico, parassiti che hanno aggredito interi ecosistemi forestali, favoriti dall’aumento delle temperature. «Non possiamo più considerare questi eventi come eccezioni. Dobbiamo chiamarli con il loro nome: crisi climatica. Se continuiamo a descrivere i 38 gradi estivi nelle città italiane come “caldo eccezionale”, stiamo contribuendo a minimizzare il problema, impedendo una vera presa di coscienza collettiva».


Giovani, ecoansia e partecipazione

Il rapporto tra giovani e ambiente è un altro nodo cruciale. Da un lato, le nuove generazioni mostrano una sensibilità senza precedenti, una capacità di mobilitazione globale che non ha eguali nella storia recente. Dall’altro, vivono questa consapevolezza con una crescente inquietudine, talvolta con un senso di impotenza e di ansia rispetto al futuro. Legambiente ha lavorato negli ultimi anni per costruire spazi di ascolto e di co-progettazione con i giovani, creando un Coordinamento Nazionale Giovani e promuovendo momenti di confronto attivo in tutto il Paese. «L’ecoansia – afferma Zampetti – non va sottovalutata né patologizzata. Se accolta e accompagnata, può diventare motore di trasformazione. Ma se ignorata, o peggio ancora derisa, rischia di degenerare in rabbia o in disillusione. La sfida è trasformare il disagio in azione, la protesta in proposta».

 

La transizione ecologica passa dalle alleanze

La transizione ecologica, d’altra parte, non può essere affidata a una sola categoria di attori. Richiede alleanze. Serve una convergenza tra cittadini, istituzioni locali, imprese, territori. Legambiente ha fatto di questa logica di rete la propria cifra operativa. «Le politiche migliori, anche quelle europee, non funzionano se non si radicano nei territori. Le comunità devono essere protagoniste. E questo significa coinvolgere anche le imprese, molte delle quali oggi sono all’avanguardia. Ma serve una politica industriale nazionale che valorizzi le esperienze virtuose, che non veda la crisi climatica come un ostacolo, bensì come un’opportunità di innovazione e di sviluppo».

Le assenze, però, pesano. In particolare quella della politica nazionale. Zampetti ricorda come il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici – strategia fondamentale per preparare il Paese agli scenari futuri – sia rimasto bloccato da anni, privo di risorse e senza attuazione. E denuncia la persistenza dei sussidi alle fonti fossili, ancora presenti nel bilancio dello Stato nonostante siano da tempo classificati come ambientalmente dannosi. «Servirebbe un chiaro segnale di discontinuità. E invece continuiamo a investire fondi pubblici in modelli che sappiamo essere insostenibili».

 

Oltre l’effetto, verso l’impatto

Oltre ai progetti e alle politiche, Legambiente lavora su un altro fronte meno visibile ma essenziale: la cultura dell’impatto. Non basta l’effetto mediatico di un’azione: serve misurare il cambiamento reale che produce. «Oggi troppe politiche sono pensate per il titolo del giorno dopo, non per l’effetto che avranno tra due o tre anni. Noi lavoriamo per costruire modelli replicabili, a partire da piccole esperienze che possono essere replicate su larga scala. Ogni progetto, anche il più piccolo, può generare un impatto culturale se è ben progettato e comunicato. L’obiettivo è mostrare che il cambiamento è possibile e concreto».

Ma tutto questo ha bisogno di partecipazione. Non quella effimera delle community digitali, ma quella profonda e strutturata delle comunità reali. «Quando c’è un’emergenza, è più facile mobilitare le persone. Quando invece si tratta di costruire qualcosa, di sostenere una proposta – ad esempio un impianto rinnovabile, un progetto di economia circolare – è molto più difficile trovare alleati». Per questo Legambiente lavora per affiancare sempre alla denuncia una proposta, per unire la forza della protesta con la concretezza della soluzione. «Abbiamo bisogno di un ambientalismo propositivo, informato, basato su dati, ma capace di parlare al cuore delle persone. L’ambientalismo scientifico è la chiave».

Che si parli di impianti eolici o di gestione dell’acqua, serve un’alleanza tra competenza, visione e partecipazione. L’ambientalismo non è una battaglia tra apocalittici e negazionisti, ma una costruzione collettiva, informata e concreta. La conoscenza è la base. La comunicazione efficace è la sfida. La partecipazione la leva.
L’urgenza c’è, ma ci sono anche le soluzioni. E come sempre, a fare la differenza sarà la capacità di agire – insieme – prima che sia troppo tardi.

 

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Chi è Giorgio Zampetti? Direttore Generale di Legambiente dal 2018. Geologo, dal 2012 è responsabile scientifico e dal 2015 è coordinatore del Comitato Scientifico di Legambiente. Ha curato l’organizzazione delle principali campagne di monitoraggio scientifico dell’associazione, a partire da Goletta Verde, Goletta dei laghi e Treno Verde. Curatore di dossier e rapporti dell’associazione, di articoli e pubblicazioni scientifiche sui temi del marine litter, dell’acqua, del rischio idrogeologico, dell’inquinamento atmosferico, dei rifiuti e delle bonifiche.

 

Articolo a cura di Innovazione Sociale
Videointervista a cura di Antonella Tagliabue, UN-GURU

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