Dal margine al centro: la montagna che ridisegna il futuro dell’Italia. Intervista a Marco Bussone

Dal margine al centro: la montagna che ridisegna il futuro dell’Italia. Intervista a Marco Bussone

Nel cuore delle sfide ambientali, demografiche e sociali che attraversano l’Italia, la montagna torna al centro del discorso pubblico e politico, con una nuova consapevolezza. Non più solo spazio da cui fuggire o rifugio idilliaco da idealizzare nei momenti di saturazione urbana, ma territorio vivo, capace di produrre risposte concrete, innovative e replicabili alle sfide che investono l’intero Paese.

Lo sottolinea con forza Marco Bussone, Presidente di UNCEM – Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani – e di PEFC Italia, in una conversazione che è insieme bilancio e visione, radicamento e prospettiva. L’Italia, ricorda, è un Paese montano per oltre la metà del suo territorio e forestale per quasi il 40% della sua superficie. Numeri che restituiscono l’immagine di una geografia spesso rimossa, eppure strutturale. Contrariamente a quanto avviene in altri contesti globali, in Italia il bosco non si riduce, ma cresce. Negli ultimi trent’anni, l’estensione forestale è aumentata significativamente, in molti casi in modo disordinato, sottraendo spazio a pascoli, prati, terrazze agricole e antichi muretti a secco.

Tutto ciò avviene mentre il Paese affronta due grandi discontinuità: la crisi climatica e quella demografica, spesso ridotta impropriamente al solo fenomeno dello spopolamento. In realtà, l’Italia – come gran parte dell’Europa – si trova in una transizione demografica profonda. Le proiezioni ISTAT stimano una perdita di 7 milioni di persone in età lavorativa entro il 2050. Nei 5.500 piccoli comuni italiani si muore di più e si nasce sempre meno.

Eppure, qualcosa sta cambiando. Secondo il Rapporto Montagne Italia 2025, realizzato da UNCEM, oltre 100.000 nuove persone, di cui circa 65.000 italiane, si sono trasferite a vivere in aree montane, invertendo una tendenza storica. Si tratta di un fenomeno ancora iniziale, ma che segnala un rinnovato interesse verso questi territori, spinto da una ricerca di qualità della vita, nuove opportunità e una diversa relazione con l’ambiente. Un segnale che va interpretato e accompagnato, non lasciato al caso.

Per fare questo, serve una strategia. Le politiche non mancano: dalla Strategia Nazionale per le Aree Interne a quella delle Green Communities, dalla legge del 2018 sulla gestione forestale sostenibile fino alla nuova normativa in approvazione sulle zone montane. Il tema, semmai, è quello della coerenza e dell’integrazione: istituzioni locali, regioni e Stato devono saper operare in sinergia, superando la frammentazione che troppo spesso ha segnato l’approccio alle aree interne. UNCEM, che da oltre settant’anni agisce come “sindacato delle montagne”, si pone come catalizzatore di questi processi, con l’obiettivo di costruire una governance policentrica capace di valorizzare le specificità locali all’interno di una visione condivisa.

Bussone insiste su un concetto che è insieme politico e culturale: la “coesione del noi”. Un paradigma che supera l’assistenzialismo e la retorica della marginalità per affermare una logica di interdipendenza. Non si tratta più di scegliere tra città e montagna, né di continuare a raccontare la montagna come luogo “per sottrazione”, rifugio dalla confusione urbana. Al contrario, si tratta di costruire un patto fra territori, in cui le città riconoscano nelle aree rurali e montane non solo dei margini, ma dei partner indispensabili nella gestione delle risorse, della biodiversità, della coesione sociale.

È in questa logica che vanno letti anche i grandi eventi, come le prossime Olimpiadi Invernali di Milano-Cortina 2026: un’opportunità, a condizione che vengano pensate come parte di un progetto più ampio e duraturo. È indispensabile che le città smettano di considerare la montagna come un’appendice funzionale – turistica, sportiva, energetica – e iniziare a riconoscerla come uno spazio vivo, generatore di valore, economia, relazioni. Così come Torino fece un passo importante verso la sua riconfigurazione alpina nel 2006, oggi tocca a Milano diventare interlocutrice stabile delle comunità montane lombarde, venete e piemontesi, andando oltre le logiche di visibilità momentanea.

Questa riconfigurazione riguarda anche il turismo, che nelle aree montane ha registrato nell’ultima stagione numeri positivi, in netto contrasto con il calo delle presenze in molte località balneari. Tuttavia, come sottolinea Bussone, “non esiste turismo senza la felicità degli abitanti”. Dove la comunità è viva – dove ci sono scuola, servizi, parrocchia, Pro Loco, bar come spazi sociali – nasce anche l’ospitalità autentica, capace di attrarre e trattenere chi cerca esperienze genuine, non solo luoghi da fotografare. Il turismo, in questa visione, non è consumo del territorio, ma parte integrante di un sistema comunitario che si costruisce attraverso la partecipazione, la cura e la corresponsabilità. A partire da piccoli gesti, come acquistare prodotti locali durante una gita in montagna: un atto semplice, che contribuisce a tenere in vita esercizi commerciali e presidi sociali in territori a rischio di desertificazione economica.

Uno degli ambiti più emblematici dell’innovazione che nasce “dal basso” è quello delle Comunità Energetiche Rinnovabili. Le CER rappresentano non solo un modello di autoproduzione sostenibile, ma anche un’occasione per creare lavoro, curare il territorio e sostenere le filiere locali. Già nella legge del 1994 sulla montagna si parlava di comunità di autoproduzione: segno che, in molti casi, le risposte più avanzate arrivano proprio dalle aree considerate marginali.

Lo stesso si può dire per le associazioni fondiarie, nate per risolvere il problema delle proprietà parcellizzate e incolte. Sono strumenti di aggregazione, ma anche di rigenerazione, che dimostrano come nei territori montani si stiano sperimentando modelli nuovi di economia e governance. Non a caso, molte delle “grandi novità” di questi anni – dalle cooperative di comunità alle fondazioni, dalle green communities alle CER solidali – hanno una matrice collettiva e territoriale. La comunità, più che l’individuo, è il vero motore del cambiamento.

In questo scenario, Bussone lancia un monito e un invito: attenzione a non trasformare le buone pratiche in “fiori isolati”. L’innovazione reale, quella che incide sulla vita delle persone e modifica gli assetti istituzionali, ha bisogno di visione e di politiche. Servono strutture, investimenti, regole giuste. Come dice Edgar Morin – e come ama ricordare lo stesso Bussone – non basta far nascere i fiori: qualcuno deve occuparsi di fare il bouquet.

 

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Chi è Marco Bussone? Giornalista professionista, ha studiato Scienze della Comunicazione all’Università di Torino. Dal 2018 è Presidente nazionale di UNCEM, l’Unione dei Comuni, delle Comunità e degli Enti montani, dove lavora dal 2009 come responsabile dell’ufficio stampa e dei progetti. Dal 2020 è Consigliere di PEFC Italia, organismo di certificazione forestale, di cui è diventato Presidente nel 2023.

 

Articolo a cura di Innovazione Sociale
Videointervista a cura di Antonella Tagliabue, UN-GURU

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