L'innovazione sociale si fa in rete: ma servono i tessitori
Testo a cura di Antonella Tagliabue, UN-GURU
I progetti di innovazione sociale si basano sempre più su partnership ampie e collaborazioni cross-settoriali per affrontare sfide complesse e garantire impatto duraturo. Il tema dei bisogni di comunità richiede una proposta integrata che combini competenze diverse: partnership tra pubblico, privato, terzo settore e comunità permettono di condividere risorse e di integrare prospettive diverse.
La coprogettazione inoltre favorisce l’adattamento contestuale per territori o specifici sistemi culturali e ha spesso come obiettivo la scalabilità e la sostenibilità oltre la fase pilota, quella del finanziamento. Lavorare in rete, se fatto bene, può anche significare ampliare l’impatto sociale attraverso la fiducia e l’innovazione relazionale, in grado di generare nuove forme di collaborazione e inclusività.
Laddove la partnership funziona, si può beneficiare dei vantaggi della flessibilità, quali la ricalibrazione di ruoli e responsabilità in risposta a cambiamenti anche repentini, oltre che mobilitare risorse aggiuntive, anche attraverso reti informali.
Le partnership cross-settoriali facilitano inoltre l’integrazione con programmi istituzionali, accelerando l’adozione di soluzioni innovative a livello sistemico.
Questi sono solo alcuni dei motivi per cui l'innovazione sociale è sempre più un affare di gruppo. Fare rete, però, non è automatico: non basta "stare insieme". L'esperienza insegna che le reti di innovazione sociale necessitano di una regia attenta e di figure capaci di curare le relazioni, facilitando la comunicazione e la collaborazione, valorizzando le singole specificità e, al contempo, costruendo un'identità comune.
Questa figura, spesso definita Network Weaver, tessitore di reti, è un facilitatore, un connettore, un mediatore. È colui o colei che innanzitutto coltiva le relazioni e dedica tempo a conoscere i membri della rete, a comprenderne le esigenze e le aspirazioni. Facilita la comunicazione creando spazi di dialogo, organizza incontri, utilizza strumenti digitali per favorire lo scambio di informazioni e la condivisione di idee. Previene ed eventualmente gestisce i conflitti, aiutando a superare le incomprensioni e a trovare soluzioni condivise. Si occupa del coordinamento delle attività vigilando sulla coerenza delle iniziative e promuove il lavoro di rete.
Spesso i progetti di innovazione sociale non esprimono appieno il loro potenziale a causa di alcuni pattern ricorrenti nelle dinamiche di gestione del lavoro di rete, quali la mancanza di una trama di relazioni solide e lo scarso allineamento dovuto a obiettivi divergenti, strutture organizzative rigide, asimmetrie di potere o resistenze culturali come, ad esempio, la sindrome del "not invented here", un pregiudizio cognitivo ed un fenomeno organizzativo che porta a rifiutare idee, soluzioni o innovazioni esterne, preferendo sviluppare internamente proprie creazioni, anche quando le opzioni esterne sono più efficaci o efficienti.
Le competenze del Network Weaver sono dunque quelle dell’ascolto attivo, della facilitazione, della mediazione e della leadership collaborativa. Troppo spesso, nelle reti di innovazione sociale questa funzione viene assolta in modo informale, da persone che si fanno carico di un compito extra senza avere il tempo e le competenze necessarie. Perché invece una rete funzioni davvero, è necessario investire in questa figura, riconoscendone il valore e fornendole risorse e formazione adeguate.
È fondamentale che i progetti di innovazione sociale includano nel budget una voce specifica dedicata al Network Weaver. Non si tratta solo di pagare una persona, ma di riconoscere il valore di un lavoro che richiede tempo, impegno e competenze specifiche.
Il Network Weaver non può ovviamente fare miracoli. Le sue competenze e il suo lavoro però sono uno strumento al servizio di un obiettivo strategico insito in ogni progetto di rete: la governance collaborativa ed efficace.
In copertina: foto di Olga Kovalski su Unsplash
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