“Misuriamo l'intangibile”. Da sasso a zuppa, ovvero come il valore d'uso genera risorse per la coesione
Testo a cura di DialogicaLab
«Siamo progetti di autocostruzione collettiva»
David Graeber
Nel percorso che stiamo facendo attraverso il dipanarsi di questa rubrica, sarà ormai chiaro il presupposto conoscitivo proposto, ovvero le interazioni come principio generativo di realtà di senso condiviso. Con questo sguardo, osserviamo la comunità non come insieme di corpi individuali, bensì come massa di interazioni.
Attraverso il terzo e il quarto contributo, abbiamo approfondito come i modi di interagire disponibili, misurabili rispetto al valore d’uso che viene dato al discorso (verbale, non verbale, gestuale, iconografico), aprono una pluralità di scenari possibili. Nella comunità possiamo misurare assetti maggiormente coesi o frammentati, a seconda delle scelte con cui a monte si orientano i modi di interagire. Il modo con cui la comunità fa fronte alle sfide e ai problemi comuni - ovvero quali regole interattive usa, sviluppa o introduce ex novo - ci permette di osservare il quantum di innovazione che una trasformazione è in grado di generare nella direzione della coesione.
Un vecchio racconto, di certo noto ai più, potrebbe aiutarci a chiarire tale concetto: avete già ascoltato la favola della zuppa di sasso? Molte sono le versioni circolanti, e altrettante le interpretazioni disponibili. Proviamo qui ad offrirne una lettura che ci sarà d'aiuto per osservare le modalità interattive e gli effetti sulla comunità del villaggio in cui la storia è ambientata.
« È inverno nel villaggio, e da tempo i campi non danno ortaggi, di frutta nemmeno l’ombra. Gli abitanti del piccolo paese hanno fame. Una notte al villaggio capita per caso un coniglio che, vedendo una casa illuminata, decide di avvicinarsi e bussare alla porta. “Buonasera, sto camminando da giorni e sono affamato. Potrei entrare e cucinare una zuppa di sasso?”. La gallina, perplessa al pensiero di quello strano piatto e da troppo tempo affamata, decide di accogliere il viandante. “Mi servirebbe solo una pentola con dell’acqua”, afferma il nostro coniglio. La gallina, dopo essersi prodigata ad accendere il fuoco e a preparare la pentola, ancora incredula dalla semplicità della ricetta, aggiunge: “Ho un piccolo pezzo di cipolla. Se può servire per la tua zuppa, eccolo qui!”. Il coniglio ringrazia e si mette tranquillo ad aspettare che l’acqua inizi a bollire, con il suo sasso già dentro.
Gli altri animali del villaggio, vedendo il fumo uscire dalla casa della gallina, incuriositi e altrettanto affamati, si dirigono verso l'abitazione. “Buonasera Signora Gallina, hai per caso trovato di che cibarti?”, domanda il maiale. “No, è arrivato da nord il Signor Coniglio che mi ha chiesto di poter cucinare la sua zuppa di sasso”. “Ma io sento odore di cipolla!”. “Sì - interviene il coniglio - la Signora Gallina me ne ha offerto un pezzettino. Se per caso tu avessi una carota per la mia ricetta, il risultato sarebbe ancora più buono!”. “Non ho carote, ma mi è rimasto un porro! Potrebbe andare bene lo stesso?”. “Certo! Poi rimani con noi, la zuppa sarà pronta in un paio d’ore”. »
Come si conclude dunque la nostra storia? Uno ad uno, tutti gli abitanti del villaggio aggiungono un loro ingrediente al ribollire di quella zuppa: ogni animale fa ritorno alla propria casa felice e con lo stomaco pieno per aver mangiato un piatto caldo, cucinato a partire dal sasso del coniglio, godendo della reciproca compagnia.

Foto da Unsplash
No, non c'è nessuna morale della favola. Piuttosto, proviamo a descrivere le modalità interattive che abbiamo incontrato all'interno del racconto: il coniglio viandante sceglie di interagire, di non far fronte al suo bisogno da solo; dunque bussa, e fa una proposta. La gallina, pur nella possibilità di muoversi in direzioni diverse, sceglie di stare nel processo interattivo, e di usare il riferimento all’obiettivo proposto: cucinare la zuppa di sasso. Il maiale potrebbe giudicare pazzi sia il coniglio che la gallina, eppure sceglie di contribuire, a fronte di alcune valutazioni, e lo stesso fanno, via via, anche tutti gli altri personaggi.
Potevano accadere cose diverse? Assolutamente sì. La gallina avrebbe potuto fin da subito esplicitare l’impossibilità di offrire la sua cipolla: “Con sei pulcini da sfamare, non posso proprio permettermi di perdere legna, acqua e quel poco che mi rimane”. La modalità interattiva, in questo caso, sarebbe stata quella della giustificazione: ne avremmo compreso il valore d’uso (ci mancherebbe, con 6 figli piccoli!) orientato dal criterio dell’interesse personale e dalle istanze di sopravvivenza. Uno dopo l'altro, tutti gli animali che si sono succeduti intorno al focolare avrebbero potuto fare scelte interattive diverse. Ciascuno era portatore di risorse (i diversi ortaggi) e l’uso di queste risorse avrebbe potuto legittimamente orientarsi a logiche di interesse personale.
Nella trama delle interazioni comunitarie, convivono due orizzonti possibili, veri e propri paradigmi differenti: quello della sopravvivenza degli individui ci consente di osservare modalità interattive fondate sulla tutela e la garanzia dell’interesse dei singoli; c’è poi un secondo paradigma, osservabile fin dall’alba dell’umanità, dai tempi delle caverne: la nostra specie si è sempre mossa come comunità con obiettivi di conservazione della specie stessa. Il paradigma della conservazione ingloba quello della sopravvivenza: anche la gallina, ed ogni altro animale del villaggio, finiranno con un piatto di zuppa nello stomaco.
Dunque, muoversi nella direzione della conservazione di comunità coese non comporta “eliminare” le istanze personali. Ciò che cambia è l’assetto che si genera a partire dai diversi modi di interagire e da ciò che li orienta: l’obiettivo di coesione o, viceversa, l’interesse personale
Aggiungiamo ora un ulteriore tassello: le modalità interattive non sono comportamenti o modi di fare delle persone. Anche il maiale avrebbe potuto fare una proposta ben prima che arrivasse il coniglio; oppure, il giorno dopo il coniglio avrebbe potuto andarsene derubando il villaggio. L’interazione è sempre incerta e tutte le modalità interattivo-discorsive sono costantemente disponibili. È con l’incertezza, caratteristica intrinseca dell’interazione, che fa i conti la comunità. Al contempo, è proprio grazie all’incertezza che possiamo generare assetti comunitari via via diversi, e innovarli nella direzione della coesione. Occorre però misurarli, osservare quali regole li caratterizzano, essere in grado di anticipare quali direzioni è possibile tracciare per il preciso punto in cui il processo interattivo si trova. Senza misura, non c’è governo delle interazioni.
Torniamo ancora alla nostra zuppa di sasso. Anzi, torniamo proprio…al sasso! Chi avrebbe potuto mangiarlo? Attribuendogli un valore d’uso, orientandolo all’obiettivo di cucinare la zuppa, esso è divenuto risorsa per il villaggio. In altre parole, il valore d’uso che ha assunto nell’interazione è stato orientato da un paradigma di conservazione e da obiettivi di coesione. Lo stesso è successo con gli ortaggi portati dai vari animali: sono diventati risorse nel momento in cui sono entrati nel processo condiviso.
Talvolta pensiamo che quelle che chiamiamo risorse abbiano intrinsecamente valore di risorsa: ciò vale per ciò che chiamiamo risorsa finanziaria, ambientale, umana...e così via. Se però guardiamo con più attenzione a ciò che accade nelle interazioni, il valore che assumono le cosiddette risorse non è costante, ma varia a seconda dell’uso che ne facciamo nell’interazione. Pertanto, da qui in poi chiameremo risorsa “qualsiasi materiale, prodotto, servizio e membro della specie umana che, nell’interazione, genera un contributo per la comunità. Tale contributo si configura come valore dato, nell’interazione fra i membri della specie/comunità, sul continuum coesione-frammentazione della comunità.” (Turchi e Vendramini, 2021)
Trasliamo ora dalle favole e pensiamo alle dotazioni finanziarie destinate a progetti/servizi, ma anche benefit aziendali o investimenti. Se pensiamo che la dotazione finanziaria sia risorsa di per sé, perdiamo il riferimento al valore d’uso e a come questo sia riferibile ad un paradigma di sopravvivenza o di conservazione. Vale a dire, non osserviamo quanto l’uso della risorsa costituisca un contributo per la comunità nella direzione della coesione o della frammentazione.
Al contrario, se tale valore diventa il nostro versante osservativo, non ci chiederemo solamente se “abbiamo o non abbiamo risorse” (la dotazione finanziaria, stando all'interno dell’esempio), e nemmeno se queste “sono state spese o meno”, ma anche e soprattutto come esse vengono usate rispetto alla coesione comunitaria. Pertanto, un progetto o un servizio potrebbero anche “spendere” e fare molte azioni, ma solo la misura di quanta coesione tali azioni avranno generato ci consentirà di misurare il valore assunto dalle risorse e l’impatto che si sarà generato nella comunità.

Foto di Lukas su Unsplash
Torniamo per un attimo alla nostra storia: immaginiamo che, all’arrivo della primavera, i campi abbiano cominciato a fiorire, e che ci sia più cibo per tutti. L’uso che ciascun abitante del villaggio sceglierà di fare del raccolto potrà orientarsi a tutelare il proprio bisogno di sfamarsi: avremo dunque animali più pasciuti e sazi, non necessariamente una comunità più coesa.
Se, con le medesime condizioni (primavera e campi rigogliosi), la comunità continuerà ad interagire per la sua coesione, essa sarà in grado di anticipare possibili criticità future o magari osservare già nuovi problemi da affrontare. Potrebbe così diventare necessario gestire gli approvvigionamenti di acqua, o sbrogliare l’ancestrale problema dei confini degli orti. Potranno nascere regole sociali e istituzioni per garantire e proteggere i confini, o orti comuni con regole condivise di uso degli spazi. Le regole istituite potranno essere infrante o contestate, facendo emergere domande su come gestire l’infrazione. Potranno nascere contesti di punizione, o progetti che vedono nell’infrazione una possibile risorsa in quanto occasione per la comunità di generare nuove regole. Il processo per statuto non si conclude, e procede nella ricerca incessante di ciò che potrà (o meno) conservarci come specie.
La prospettiva della conservazione, e dunque la scelta di questo paradigma conoscitivo, non vuole offrire un riferimento etico-morale: non stiamo dicendo che è “giusto” conservarci o “sbagliato” sopravvivere. Il contributo della Scienza Dialogica è conoscitivo: l’osservazione delle modalità interattivo-discorsive consente di anticipare gli scenari che possono generarsi nella comunità rispetto al grado di coesione. Scegliendo questo quadro conoscitivo, noi non osserviamo quali sono le cause determinanti, bensì le modalità di interagire che possono concorrere a generare realtà di coesione o meno.
Nella gestione condivisa di sfide che ne minano la conservazione, ad ogni membro della specie va la responsabilità di scegliere quali modalità d’uso del linguaggio impiegare nell’interazione con il resto della comunità, rendendosi - e rendendo ciò che ci circonda - risorsa
Fare riferimento al linguaggio e all’interazione rende la storia della zuppa di sasso trasferibile a qualsiasi contesto della specie umana, che sia organizzativo, scolastico, lavorativo o familiare. Se consideriamo i contesti a partire dall’interazione, osserviamo una rete di modalità d’uso del linguaggio utili a continuare, interagendo, a generare altre interazioni, e dunque altre realtà: non è “grazie al coniglio”, e nemmeno solo “grazie alla sua proposta”, se il villaggio ha potuto avere la sua cena (saremmo infatti ancora dentro una visione determinista). Il contributo del coniglio ha interagito con altri contributi, che a loro volta hanno interagito, rafforzando l’interazione nella direzione dell’obiettivo comune.
È solo dentro al dipanarsi dell’interazione che chiunque e qualunque cosa può essere risorsa, portando un contributo alla coesione della comunità. E la comunità stessa diventa risorsa nel momento in cui si mette nelle condizioni di muoversi in modo coordinato verso la gestione in anticipazione degli aspetti critici che la riguardano, valorizzando ciò che ha a disposizione per la conservazione della specie.
DialogicaLab. "Siamo Architetti dell’interazione umana e progettisti del cambiamento. Il nostro obiettivo è rendere Enti Pubblici, organizzazioni private, cittadini più competenti nell’aumentare il proprio impatto positivo sulla comunità di riferimento e nel promuovere la sostenibilità come responsabilità condivisa. Vediamo un mondo in cui la conoscenza diffusa e rigorosa delle interazioni umane consente ai policy maker e ai cittadini di anticipare l’impatto delle proprie scelte e di progettare e gestire comunità più coese, più in salute e più sostenibili".
Impegnata dal 2006 negli ambiti della consulenza, della formazione e della ricerca per l'innovazione di Politiche Sociali e Servizi alle persone, la realtà di DialogicaLab può contare su un team di psicologi, psicoterapeuti, ricercatori per servizi di comunità, formatori ed esperti in comunicazione, costantemente attivi nello sviluppo e nell'applicazione del programma di ricerca della Scienza Dialogica.
Per approfondire:
"Misuriamo l'intangibile". Una guida all'osservazione delle interazioni umane
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