La frattura tra fiducia e nostalgia: un bivio per i territori
In tempi di incertezza, due narrazioni si contendono il futuro delle comunità. Da una parte, c’è la nostalgia: un richiamo al passato come rifugio emotivo, una fissazione per ciò che “funzionava” quando le fabbriche producevano, i giovani restavano e le strade non erano vuote. La nostalgia è potente. Consola. Ma rischia di anestetizzare l’azione: trasforma il domani in un déjà-vu, un replay di soluzioni già fallite altrove. È un filtro che riduce l’innovazione a revival.
Dall’altra, c’è la fiducia: la capacità di immaginare, costruire e investire in un futuro che non esiste ancora. Non è ottimismo ingenuo. È una scelta razionale basata su dati, coerenza e cooperazione. È la fiducia che porta attori diversi a convergere su un progetto comune, pur in contesti fragili. È questa fiducia che trasforma territori marginali in laboratori viventi di innovazione sociale e sviluppo integrato.
È quanto sostiene Andrea Ferrazzi, direttore generale di Confindustria Belluno Dolomiti, nel suo “Il futuro ad alta quota. Montagne, aree interne, periferie. La rivincita dei luoghi che vogliono contare” (Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, 2025).
La frattura di cui parla l’autore non è solo culturale. È economica. È politica. È sociale
Territori che puntano sulla nostalgia spesso ricadono in un circolo vizioso di compensazioni: incentivi a pioggia, politiche assistenziali, promesse di ritorno al “mitico passato produttivo”. Queste risposte alleviano il disagio, ma non risolvono il problema strutturale delle disuguaglianze territoriali: quelli che l’ISTAT definisce divari di opportunità, di reddito, di capitale umano e di accesso ai servizi.
Ed è qui che le imprese entrano nella partita con un ruolo strategico. Non come benefattrici, ma come motori di trasformazione reale.
Azione collettiva e radicamento locale - Le imprese che investono nei territori fragili non solo creano posti di lavoro: danno forma a valore condiviso. Rispondono ai bisogni locali con soluzioni radicate nel contesto, anziché esportare modelli urbani in territori non urbani. Il concetto di valore condiviso, teorizzato da Porter e Kramer, mostra come competitività e impatto sociale possano coesistere.
Innovazione di prodotto e di processo - In contesti periferici, le imprese affrontano vincoli unici: distanza dai mercati, scarsità di infrastrutture, risorse limitate. Questo spinge a innovare non per moda, ma per sopravvivere e prosperare. Tecnologie digitali, filiere corte, manifattura avanzata legata alle specificità territoriali sono esempi concreti di innovazione che riduce disuguaglianze.
Collaborazioni pubblico-private - I territori disomogenei richiedono risposte multilivello. Le imprese agiscono congiuntamente a istituzioni e società civile per co-progettare servizi – dalla formazione alla sanità digitale, dalla mobilità sostenibile alle piattaforme di community building. Questo approccio riconosce che nessun attore da solo può affrontare le disuguaglianze territoriali.
Cultura dell’apprendimento e fiducia - Le imprese che prosperano nei contesti periferici spesso condividono una cultura aperta all’apprendimento continuo, alla sperimentazione e al rischio calcolato. Questa cultura alimenta la fiducia: nei giovani, nelle comunità, negli stakeholder. È la fiducia che trasforma “non possiamo” in “come possiamo?”.
In conclusione, “Il futuro ad alta quota” mostra che la vera partita dei territori non si gioca tra passato e futuro, ma nella capacità di trasformare la frattura tra nostalgia e fiducia in un motore di sviluppo. Le politiche pubbliche possono predisporre il terreno, ma sono imprese, comunità e istituzioni locali a dare forma concreta alla speranza, costruendo opportunità dove oggi dominano divari e fragilità. Ferrazzi lo racconta con chiarezza: la montagna e le aree interne non chiedono pietà, chiedono visione, competenze e cooperazione. Là dove la nostalgia restringe l’orizzonte, la fiducia — quando è coltivata e condivisa — riapre la possibilità del futuro.
Il progetto editoriale continua anche online, con il sito ilfuturoadaltaquota.it
Andrea Ferrazzi, giornalista, dal 2016 è direttore generale di Confindustria Belluno Dolomiti. Laureato in Sociologia all’Università di Trento ha iniziato giovanissimo a svolgere la professione di giornalista, prima come corrispondente de «Il Gazzettino», poi al «Corriere del Veneto», inserto regionale del «Corriere della Sera». È stato direttore editoriale e responsabile di diverse testate. Ha ricoperto il ruolo di responsabile della comunicazione e delle relazioni esterne di Confindustria Belluno Dolomiti. Per la stessa Associazione ha fondato, e tuttora dirige, l’agenzia giornalistica di informazione turistica AIT DOLOMITI (@aitdolomiti). I suoi interessi riguardano in particolare: il rapporto tra innovazione tecnologica, società, politica e cultura; il marketing e lo sviluppo territoriale, nonché il ruolo della cultura quale fattore per lo sviluppo economico e l’innovazione.
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